mercoledì 22 ottobre 2008

FUNGUS

Quell’autunno era stato decretato dagli esperti come uno dei migliori per la raccolta dei funghi. Erano stati previste giornate calde e l’alternarsi di copiosi rovesci. Il tutto per la gioia dei palati fini. Sulle montagne del lecchese, nelle quali abitava, Lucio, era pronto con tutta la sua attrezzatura da quell’estate. Non aspettava altro e come lui tutti gli appassionati. Lucio era anche un abile cacciatore; sapeva come abbattere un cervo e conservarne la carne. Non poteva essere diversamente visto che di mestiere Lucio faceva il bracconiere; sparava agli animali selvatici e poi andava a rivenderne la carne trattata ai ristoranti della zona. Lucio abitava in una baita nei boschi insieme a sua moglie Dora. Lei lo odiava perché lui preferiva qualunque cosa a lei, anche andare in chiesa. Certe volte lei lo aspettava a mezzogiorno quando tornava dalla caccia, con sotto la sottana nient’altro che la sua bernarda, e lui, che rientrava o con qualche pernice o con qualche fagiano, si cimentava in discorsi lunghissimi su questa o quell’altra cattura, cosa che faceva scendere a Dora ogni voglia. Quando al sabato sera lei aveva la fregola, lui o era troppo ubriaco oppure le diceva “Dora,dai domani dobbiamo svegliarci presto che dobbiamo andare a messa”. Lei sbuffava, aspettava pazientemente che lui s’addormentasse e poi andava in bagno a masturbarsi. Insomma sessualmente Lucio e Dora erano in crisi nera; almeno dal punti di vista di lei. Lucio sbavava dietro alla figlia del padrone del circolino dove andava a giocare a scopa con gli amici. Mara si chiamava. Mara aveva 23 anni e la 4° abbondante di reggiseno. Metteva in mostra tutto quello che aveva, sventolandolo sotto gli occhi degli avventori, mentre spillava bicchieri di vino e quando portava vassoi con i rossi o i bianchini. Il padre di Mara, Osvaldo, pensava che la figlia fosse una troia, ma la cosa lo faceva arrapare. All’età di quattordici anni quando alla figlia erano spuntate le tette aveva tentato di abusarne. Ora si limitava a spiarla nel cesso mentre si lavava o pisciava e poi si massacrava di seghe in gran segreto. La moglie di Osvaldo, Vera, era brutta, deforme e acida. Osvaldo la pompava solo quando era ubriaco ma ubriaco duro. Al mattino quando la sbronza era passata guardava quel rottame di donna dai capelli grigi e l’alito fetido e avrebbe voluto strangolarla tanto che gli faceva schifo. Insomma a parte tutto il resto, Lucio avrebbe voluto fare la festa a Mara, più di ogni altra cosa. La sognava di notte e di giorno quando era appostato in mezzo alla foresta ad aspettare qualcosa a cui sparare, la sognava ad occhi aperti. Una volta, gli era capitato senza accorgersene, verso le cinque della mattina, di risvegliarsi nel bunker delle anatre, tutto sporco con il suo cazzino in mano. Per la solitudine dell’attesa delle anatre aveva “pensato troppo” a Mara, e non aveva resistito.
Lucio quel giorno d’autunno era in giro per i boschi a raccogliere funghi. Sapeva che avrebbe dovuto fare in fretta perché i rompicoglioni provenienti dalla città sarebbero piombati li da un momento all’altro con le loro jeep targate MI a raccogliere tutto quello che c’era di commestibile e non. Mentre raccoglieva con cura degli etulus betulas sentì un frusciare dietro i cespugli oltre la radura. Allarmato, Lucio estrasse il coltello da caccia, scansò il fogliame e vide intrappolato in una tagliola per volpi un omino di quasi trenta centimetri d’altezza. Quell’essere era vestito con una giacca e dei pantaloni verdi, di ottimo materiale e fattura. Portava una barba senza baffi marrone scura e dei capelli ricci dell’identico colore. L’omino non sembrava essersi accorto di Lucio e tentava di liberarsi della tagliola, gemendo poiché non ci riusciva.
-Chi diavolo sei tu?- disse Lucio sgomento. L’omino si girò di scatto; i suoi occhi erano rossi di pura malvagità e un espressione da demonio era dipinta sul voltò. Ma questa durò un solo istante, poi l’omino assunse un espressione innocua e pregò Lucio di liberarlo.
-Manco per il cazzo!- rispose Lucio alle richieste dell’ominide. Quel nanetto barbuto assunse un’ espressione ancora più tenera se possibile.
-Ti prego, padrone,mi chiamo Fungus e sono un folletto del bosco. Liberami e esaudirò i tuoi desideri, fin dove mi sarà possibile!-
-E che cazzo vuol dire?- chiese Lucio, che da buon montanaro non era incline alle inculate.
-Beh vedi, se mi chiedi una macchina lussuosa o una imbarcazione non posso accontentarti, ma se mi chiedi delle monete d’oro o i favori di una donna, posso sicuramente esaudirli!-
-Cazzo Mara!- venne in mente a Lucio
Senza pensarci due volte, si sputò sul palmo della mano e la tese a quella bizzaria evolutiva.
Fungus scatarrò sulla sua, molto più piccola e strinse quella dell’omone.
-Affare fatto- disse Lucio. E liberò Fungus.
-Mi devi medicare, questo ferro che mi ha ferito non fa parte del mio mondo e non posso guarirmi da solo. Portami a casa tua- disse Fungus.
-Ok, così potrò verificare che tu esaudisca i miei desideri-
Lucio chiuse il folletto nella cestina dei funghi e lo portò di volata a casa, sapendo che Dora era in paese a far la spesa. Nel tragitto disse che avrebbe voluto diventare ricco, pieno di soldi, avrebbe voluto fare una vita da nababbo e tutte quelle cose che Fungus si era già immaginato. Poi parlò di Mara e descrisse come e cosa le avrebbe fatto una volta che la ragazza fosse stata sua.
Arrivati a destinazione Lucio organizzò per la sistemazione di Fungus.
-Dormirai nella cuccia del cane, nella rimessa-
-Ma sei scemo? Il cane mi divorerà- protestò Fungus
-Il cane è morto l’inverno scorso. Oh nanetto poche storie o ti rimetto dove t’ho trovato!- esclamò l’uomo e inchiavardò la caviglia buona di Fungus alla catena del cane.
-E’ bella lunga, non ti sembrerà d’essere incatenato!- scherzò l’uomo.
-Figlio di troia- sibilò il folletto tra i denti.
Dora rientrò a casa che Lucio aveva già disinfettato e bendato la ferita di Fungus. Il pomeriggio passò e arrivò la sera senza che Lucio le dicesse nulla sul folletto. Dora notò uno strano buon umore nel marito ma non disse niente, non lo invogliò nemmeno dopo cena, tanto che aveva perso le speranze. Invece fu Lucio preso da una strana passione a saltare addosso a Dora e a penetrarla senza nemmeno un minimo di civili preliminari.
-Avanti, leccamela brutto bastardo!- pensava Dora mentre tentava di venire. Non si era bagnata e la fica le faceva un male cane, la sentiva bruciare. Lucio a questo non fregava un cazzo, menò diversi colpi poi venne. La donna era incredula. Non era riuscita nemmeno lontanamente a venire, nonostante l’impegno e le poche volte che l’aveva assaggiato. Lucio stremato dalla grande fatica si addormentò. Dora era sgomenta. Era delusissima e pianse sommessamente.
Nella rimessa, Fungus se ne stava nella cuccia incazzato a morte. Lucio gli aveva promesso che gli avrebbe portato dello stufato di coniglio, ma dopo la sveltina si era addormentato e Fungus aveva dovuto sfamarsi mangiando due topi e un pipistrello. Ora era sveglio con gli occhi come carboni ardenti che puntava il gatto di Dora. Dora nel silenzio della cucina, venne attirata dal verso del suo felino che nella rimessa di fianco alla casa, sembrava lottare contro una tigre. Presa dalla curiosità e dalla preoccupazione andò a verificare che il suo micio stesse bene. Accese la luce della rimessa e vide un’ omino di trenta centimetri vestito con una giacca e pantaloni verdi, intento a divorare le interiora del suo gatto. Urlò e svenne di lungo sul pavimento della casupola. Riprese i sensi solo quando sentì qualcuno che la schiaffeggiava leggermente la guancia. Aprì gli occhi e vide Fungus che le batteva il cazzo sulla faccia. Incredibilmente il folletto era più lungo che largo; Fungus aveva un arnese di quasi trenta centimetri di lunghezza e non era nemmeno duro! Dora ammattì: sarà stato lo shock oppure quegli ultimi avvenimenti, sta di fatto che, d’amblè, prese quel cazzo smisurato, lungo e largo, porporino, venoso e pulsante e se lo ficcò in bocca. Aspirava come una pompa idrovora e Fungus, un minuto e ventinove secondi dopo, la riempì. Ma il folletto non era pago, e invece di addormentarsi come faceva sempre il marito della donna, prese e la incalzò, prima davanti poi dietro. Dora sembrava non averne mai abbastanza, e diversi orgasmi dopo, come fidanzatini si ritrovarono a scambiarsi carezze e a parlare. Fungus le raccontò di come fosse finito alla catena qualche ora prima e Dora ascoltava con attenzione soprattutto quando da vero bastardo, Fungus le raccontò dei sogni segreti del marito su Mara la giovane locandiera.
-Brutto bastardo- esclamò la donna –adesso lo sistemo io quel figlio di troia!- e i due ricominciarono di nuovo.
Passava il tempo e Lucio era abbastanza incazzato col folletto perché ancora non gli aveva esaudito un solo desiderio. Fungus protestava dicendo che fin quando non era guarito non avrebbe potuto far nulla, poi fingeva di arrabbiarsi a morte perché la trappola in cui era finito era stata opera di Lucio e quindi era colpa sua. In realtà scialava in quella rimessa. Quando l’uomo non c’era, la moglie entrava nella rimessa e lui si faceva delle goduriose scopate. Decise quasi da subito che non sarebbe andato più via di lì. Nel giro di qualche mese era ingrassato, poiché non faceva altro che mangiare, dormire e fottere.
Un giorno però Lucio, era incazzato a morte perché Dora lo aveva rimbalzato quando lui era andato a chiedergliela. Entrò nella rimessa e si fiondò sulla cuccia dove nel frattempo Fungus aveva appena finito di masturbarsi.
-Adesso mi hai rotto i coglioni! Ti do tempo una settimana, o mi fai scopare quella tettona, o giuro che ti apro come un coniglio!-
Quella notte, Fungus studiò un piano per assassinare l’uomo. Avrebbe dovuto parlarne con Dora. Aveva notato che la donna aveva preso ad odiare il marito più di prima da quando lui era arrivato in quella famiglia; e il giorno dopo, mentre pompava la donna contro la cuccia del cane, espose il suo piano.
-Siiii, si, siiiiiii, sii, siiiiiii- disse lei.
Come ogni mattina Lucio prese il suo fucile e andò a caccia. Una mezzora dopo Dora lo seguiva nel bosco, imbracciando una doppietta. Fungus nel frattempo era nella cuccia che dormiva e sognava di cavalcare un paio di nigeriane. Seguire l’uomo fu facile per la donna: Lucio lasciava tracce del suo passaggio molto evidenti, nel giro di poco gli fu alle spalle. Lucio prese il sentiero che portava a quello che lui chiamava “il passo del cervo”. Qualche minuto dopo era appostato in una macchia a ridosso di un torrente che si tuffava in un crepaccio. I cervi non tardarono ad arrivare. Vide una bella femmina fare capolino vicino all’acqua. Prese con cura la mira e sparò. Il cervo svanì nel giro di un battito di ciglia e Lucio, sdraiato a terra, si strinse il petto. Non era stato lui a sparare quello gli fu evidente. Un secondo dopo era morto. La moglie emerse dal suo nascondiglio, buttò a terra la doppietta e trascinò il corpo dell’ ex marito fino al crepaccio. Albeggiava quando lo spinse di sotto. Raccolse la doppietta prima di andarsene.
Durante tutto il tragitto di ritorno non pensò ad altro: una volta rincasata, avrebbe fatto al folletto un magnifico pompino.

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