mercoledì 22 ottobre 2008

LA BRUTTA AVVENTURA DI GIO' IL PESCATORE

Giò era un buon pescatore. Praticava quello sport da anni ormai, sin da quand’era bambino. Ora era sposato ma il matrimonio non gli aveva impedito di continuare in quello che lui definiva semplicemente “il suo passatempo”. In effetti se solo un fine settimana non fosse andato in riva al fiume a insidiare la fauna ittica, sarebbe stato male psicologicamente. La moglie, da brava donna, accondiscendeva al desiderio del marito. Giò tornava a casa sempre a mani vuote per due motivi principalmente: uno, perché ributtava in acqua quello che pescava; due, perché quei pesci erano pieni di diossina. Mangiare qualunque cosa che nuotasse in quelle acque voleva dire far crescere dei cactus nella pancia.
Quando arrivavano i primi caldi, lui passava intere giornate, dall’alba al tramonto sulle rive del Po. Capitava anche che dormisse fuori con la tenda insieme ad amici, tutti appassionati come lui di pesca. Sua moglie, questa cosa un po’ la soffriva, ma da brava donna che capiva le esigenze del suo uomo, ci sorvolava sopra. Giò con una donna simile, in cuor suo, sapeva di aver fatto 13.
Quando il sole picchiava più forte, già dalla primavera inoltrata, le rive del “suo” fiume venivano prese d’assalto da persone che con la pesca non avevano niente a che fare. Compagnie di ragazzi che andavano a prendere il sole. Giò da buon pescatore odiava la confusione e quando incombevano i primi caldi si spostava nella zona vicino alla ex centrale nucleare. Erano anni che quella centrale infernale era stata chiusa, ma i rifiuti tossici scaricati in passato nelle acque avevano contaminato tutto.
Giò rimaneva sempre sconvolto quando vedeva gli stranieri dell’est Europa, ignari di quel pericolo fluviale, che pescavano pesci e li mettevano in borsa per mangiarli, o peggio ancora, le loro donne che facevano il bagno in bikini. Giò immaginava quali razza di malattie della pelle potessero covare. Commentava con gli altri pescatori quale abominio comportamentale quella gente stesse facendo.
Quel giorno della fine di maggio, Giò da solo, si spostò come sempre verso sud, vicino alla ex centrale. Notò per la prima volta che l’acqua aveva strani riflessi di verde e rosa. Giò iniziò a pescare come sempre ma incredibilmente fu l’unica volta nella sua vita che non pescò nulla. Ne un aspio, ne un pesce-gatto. Giò tornò sconsolato con la sua canna a casa, incapace di credere alla brutta giornata che gli era capitata. Arrivò a casa e la moglie notò che qualcosa non andava. Giò quella sera non toccò cibo e andò a letto con una determinazione tutta indirizzata alla pesca della mattina successiva.
Si rimise nello stesso posto del giorno precedente e lanciò la sua esca in quell’ acqua dagli strani riflessi verde-rosa. Da lontano gli arrivavano alle orecchie gli urli e gli schiamazzi gioiosi delle ragazze dell’ est che si facevano il bagno nel Po. Giò recuperava e lanciava, lanciava e recuperava. Sempre senza sentire il minimo segno di una ferrata. Le urla iniziarono ad irritarlo. Lanciava e recuperava. Gli urli erano sempre più forti, sempre più forti, sempre di più. Il sangue iniziò a pompargli nella testa sempre più velocemente…Giò si girò verso quel gruppo di natanti stranieri, era una maschera d’odio. Ma lì non c’era più nessuno. Erano tutti spariti. Rimase sbigottito.
Eppure le canne da pesca degli uomini erano ancora lì, adagiate nei poggia-canna. La lenza era in acqua; il galleggiante che si muoveva a ritmo con le piccole onde del grande fiume. Giò pensò fosse successo qualcosa a quella gente. Poggiò con riluttanza la canna a terra e si incamminò lestamente verso il punto in cui sostavano i ragazzi. Chiamò. Nessuna risposta. Poi nella sua visuale entrò una ragazza dell’est piegata a terra. C’erano tracce del passaggio di esseri umani che si perdevano nella boscaglia.
Il terreno e il fogliame erano calpestati sembrava, da un carro armato. Giò si avvicinò alla ragazza, le toccò il braccio. La ragazza, in ginocchio piangeva in silenzio, era coperta solo dal bikini superiore, nella parte sotto era nuda. Si mise in piedi, sempre piagnucolando. Sotto l’ombelico era tutta sporca di sangue, poi cacciò un urlo abominevole. Giò sentì il rumore di qualcosa che si lacerava, come di un francobollo che veniva staccato da una lettera. La ragazza impazzì di dolore. Qualcosa iniziò a dibattersi per liberarsi, dal bassoventre della donna. Giò indietreggiò spaventato, la vagina della donna si staccò dalla sua padrona, cadendo a terra. Il sangue fuoriusciva a litri. La ragazza cadde all’indietro tenendosi ormai solo l’orifizio per tamponare la fuoriuscita di quel liquido vitale. Il sangue ricopriva tutto il suolo. Giò, spaventato, poté solo notare la vagina autonoma che si muoveva strisciando piano verso la radura. Poi dalla boscaglia arrivò un suono sordo come di una palla di cannone che cade a terra da una grande altezza; la terra tremò. Una sfera gigante del diametro di 3-4 metri, color carne e dal pelo marrone/nero, si avvicinò rotolando. Quella sfera organica si fermo in prossimità della piccola vagina che strisciava, come per aspettarla, come per accoglierla.
Il terrore travalicava la capacità di ragionare di Giò. Urlò quando vide la piccola vagina strisciante saltare ed annidarsi tra i peli di quella sfera. Quella “cosa” enorme, era una vagina gigante! La vagina gigante si aprì in un taglio verticale di circa un metro e mezzo di lunghezza, un odore fetido come di pesce marcito sotto il sole ne fuoriuscì e Giò nonostante fosse abituato all’ odore di pesce, vomitò. La vagina era sopra la ragazza che nel frattempo era morta dissanguata e, nel tempo di un’ istante la inghiottì. Giò scappò via nella direzione opposta dalla quale era provenuta la vagina assassina. Giò corse verso la sua macchina lasciando l’attrezzatura da pesca e tutto il resto. Terrorizzato salì sul suo mezzo. La vettura si mise in moto subito e non come nei film che non parte mai. Giò spinse l’acceleratore fino in fondo e uscì sulla strada asfaltata sbandando. Il fetore di quella vagina sporca gli riempiva ancora le narici insieme all’immagine della vulva carnivora che inghiottiva la ragazza. Giò sempre guidando vomitò sui suoi calzoni e sul tappetino dell’automobile. Continuò a guidare ancora, poi come impazzito iniziò a ridere. Rideva incontenibilmente ma la sua era una risata isterica. Poi esclamò:
-Certo non posso dire di aver avuto a che fare con una bella figa!-

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